La dottoressa Senestro parla di “esperienze”

L’articolo dello scorso mese, sullo stato depressivo indotto dall’uso e abuso dei telefoni da parte di giovani e meno giovani, apre la strada verso un secondo argomento che mi sta particolarmente a cuore: l’importanza delle esperienze dirette di vita.

Questo argomento mi è caro sin dai tempi del Paleolitico, quando mi laureai in Psicologia Clinica discutendo una tesi sulla Personalità Autoritaria. Il lavoro toccava diversi argomenti ma un aspetto interessante che venne fuori fu il seguente: le persone che hanno fatto poche esperienze dirette di vita tendono a sviluppare una modalità di pensiero rigida, ad essere poco tolleranti, a dividere il mondo in buoni e cattivi, a giudicare il prossimo, ad arroccarsi sulle proprie convinzioni e a sviluppare, infine, una personalità autoritaria. Personalità rigida, meticolosa, pedante che forse non farà di loro dei dittatori, ma che potrà rendere la loro vita (e soprattutto quella di chi sta loro accanto) piuttosto complicata.

Le persone che manifestano una personalità autoritaria, rispetto ad un campione di controllo, hanno molte certezze e poche esperienze. Le loro convinzioni sono tendenzialmente basate sul sentito dire e su assunti che sono stati impartiti da altri, soprattutto dai genitori, dalla scuola e dal catechismo. Questi assunti sono stati acquisiti in modo acritico e portati avanti come certezze assolute. La scarsità di esperienze dirette, infine, non ha permesso che nulla potesse turbare queste convinzioni, metterle in discussione, modificarle.

Un esempio potrà chiarire il concetto: immaginate che i vostri genitori vi abbiano insegnato, trent’anni fa, che gli omosessuali siano sbagliati, pervertiti e contronatura. Immaginate anche che la scuola, in modo diretto o indiretto, abbia rinforzato questa idea. Alle elementari e alle medie certi argomenti procuravano solo risatine e battute sconce. Pensate infine che anche il catechismo abbia consolidato l’idea che, beh, sì, siamo tutti figli del Signore ma che alcune pecorelle lo siano un po’ meno e che debbano darsi una raddrizzata per rientrare a far parte del gregge. Immaginate, adesso, di non aver mai conosciuto di persona un omosessuale. Probabilmente se pensate ad un gay vi viene in mente uno che sculetta e che indossa un boa di struzzo rosa. Una macchietta. La vostra opinione sugli omosessuali non ha nessuna possibilità di evolvere: resterà la stessa del parroco che vi ha fatto catechismo negli anni ‘80 e dei vostri amici che fanno le stesse battute triviali da trent’anni mentre grigliano le costine a Pasquetta.

È quindi importante, fondamentale, vitale fare esperienze dirette di vita: viaggiare, conoscere persone anche molto diverse da noi, uscire dalle zone di comfort, parlare con gli altri, essere curiosi, guardarsi attorno, uscire da Pancalieri, da Carmagnola, da Racconigi che, diciamocelo, sono la nostra amata terra e resteranno insostituibili nel nostro cuore, ma sono pure dei paesini avvolti nella nebbia, chiusi e pettegoli, con una capacità di accettazione delle nuove idee piuttosto limitata.

Viaggiare, sì, ma nel modo giusto. Se vado in Messico e trascorro quindici giorni a Cancùn, io del Messico non ho visto nulla salvo un bel mare ed una bella spiaggia. Andavo in Sardegna ed era la stessa cosa. Non ha senso attraversare l’oceano per vedere una realtà in cartongesso costruita ad hoc per i turisti. Guardo i camerieri travestiti con il poncho ed il sombrero, i guardiani del villaggio conciati da guerrieri Masai, da Maori, da Inuit e mi sembra di respirare l’essenza del posto. Credo di essere nell’ombelico del mondo e invece sono nel pollaio del turismo più inutile.

Viaggiare dovrebbe servire a farci conoscere nuovi posti, nuove realtà e nuova gente; dovrebbe farci incontrare quel tipo di persone che i nostri genitori, compagni di classe e catechisti aborrivano e constatare che invece no, non sono così come dicevano loro. Ecco spiegato perché le esperienze dirette ci aprono la mente.

Ed ecco spiegato, anche, perché i maledetti smartphone ci rovineranno tutti quanti: essi ci danno l’illusione di viaggiare e di fare esperienza stando comodamente sdraiati sul sofà, e invece ci rendono pigri, mosci, creduloni ed assuefatti. Un motivo in più per chiuderli nel cassetto e riprendere a vivere con il naso in su.

Silvia Senestro

redazione

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