“Quello che hai iniziato, bisogna finirlo”: anche i vostri genitori vi dicevano così?
Se hai scelto un indirizzo di studi, devi portarlo a termine anche se nel frattempo ti sei accorto che non fa per te; se hai ordinato un piatto al ristorante, poi te lo devi mangiare; se hai pagato per un corso in palestra, poi ti tocca frequentare fino all’ultima lezione anche se preferiresti stare nell’orto a raccogliere i fagiolini.
Se no sono soldi sprecati. Se no sei un vigliacco mollaccione e quando morirai finirai nel Purgatorio insieme a quelli che bigiavano le lezioni di pilates e a quelli che piluccavano nel piatto della fidanzata al ristorante.
Invece quelli che hanno resistito in tutte le situazioni che gli facevano schifo prendono la coppa della coerenza, meritano gli applausi, vanno in Paradiso ma ciò non toglie che hanno fatto una vita di merda.
Non so voi, ma nel corso della mia esistenza non ho mai azzeccato la scelta giusta (ammesso che esista) al primo colpo.
Prima di iscrivermi a Psicologia, ad esempio, ho lavorato come impiegata per un anno e ho studiato Scienze della Comunicazione per un altro anno. Nella mia vita ho cambiato case, interessi, colore di capelli e fidanzati. Mai trovato nulla di definitivo a parte i figli e qualche volta mi vien voglia di abbandonare pure loro.
I cambiamenti mi piacciono e sono stati i momenti più interessanti della mia vita.
Sono molto grata a mio padre per avermi incoraggiata a sperimentare rotte diverse quando ero giovane; nato negli anni ‘30, non sa niente di Psicologia ma sa molto di lavoro e di realizzazione personale e mi diceva sempre: “Se ti accorgi che una cosa non fa per te, mollala. É troppo importante svegliarsi contenti al mattino e fare una cosa che ci piace”.
Ha senso, quindi, restare nel posto in cui ci siamo ficcati, anche se vorremmo fuggire altrove? Se siamo infelici, a rigor di logica, non stiamo sprecando ancor maggiormente il nostro tempo e le nostre risorse?
Credo che i valori del restare dove si è, resistere ad ogni costo e portare a termine anche ciò che ci risulta insopportabile siano sopravvalutati e spesso distorti.
Credo anche che a volte diventino una scusa per rimanere fermi e magari lamentarci senza far nulla per cambiare.
Obbedire al diktat della resistenza impartito dai nostri genitori decine di anni fa e promosso dal contesto culturale ci rende, alla fine della fiera, arresi ed infelici.
Io sono contenta di aver lasciato una facoltà che non mi piaceva e di non lavorare più per quel blagheur del mio ex capo. Per fortuna ho avuto la possibilità di cambiare idea e di fare fagotto.
Si parla tanto di uscire dalla comfort zone ed al contempo ci viene moralmente impartito di rimanere per tutta la vita nel lavoro e nelle relazioni che abbiamo scelto a vent’anni.
Flessibili ma resilienti, scorrevoli ma radicati, stabilmente curiosi, imprevedibilmente sedentari.
Immaginate di vedere voi stessi seduti ad una tavola rotonda con i vostri genitori, i vostri ex insegnanti, il vostro partner e magari, se l’avete, anche il vostro psicologo; insieme dovete decidere cosa è meglio per voi. Un brainstorming che finirebbe in rissa nel giro di mezz’ora.
Non converrebbe lasciarli tutti lì e decidere da soli cosa fa per voi? Io credo di sì, ma per farlo bisogna alzarsi dal tavolo e andarsene.