Amore e asfissìa

A cura della dott.ssa Silvia Senestro

Che idea abbiamo dell’amore? Discorrendo con giovani e meno giovani di questo argomento, riscontro che sono abbastanza diffuse alcune idee che mi sembrano distorte, forse influenzate dai film, dalle serie TV e dalle canzoni.

Mi riferisco anche a quanti hanno superato il tempo delle mele in quanto, con l’aumento delle separazioni e dei divorzi, non è raro imbattersi in persone mature che vivono una relazione da pochi mesi o da pochi anni e che cercano di tastarne il polso per capire “se vada bene oppure no”, riferendosi però a parametri adolescenziali.

“Secondo lei lo/a amo?”, mi chiedono. Urca.

Naturalmente non sono in grado di rispondere ad un quesito del genere e quello che faccio (e che i miei pazienti detestano) é rigirare la domanda chiedendo: “Come si sta, secondo lei, quando si ama?”.

E qui, spesso, mi imbatto in un grosso e diffuso pregiudizio, secondo cui quando si ama si desidera passare ogni istante e fare qualsiasi cosa in compagnia della dolce metà. L’amour toujours. Always together.

Dovremmo avvertire h24 rapimento, batticuore, farfalle nello stomaco, nodo in gola ed altre affezioni psicosomatiche. Pensare sempre e solo a lui/lei. Scrivergli mille volte al giorno, corrergli incontro appena possibile. Sognarlo. Non vorrei distruggere un mito, ma questo genere di situazione estrema (che assomiglia ad una forma di psicosi o di ossessione), se va bene, può caratterizzare le primissime fasi dell’innamoramento.

E non riguarda nemmeno tutti! Il modo in cui ci innamoriamo, come il modo in cui ci arrabbiamo, pensiamo, studiamo, ci intristiamo e via dicendo, é del tutto personale e soggettivo; inoltre, anche nei casi in cui l’inizio ci ha fatto sentire come posseduti da un sortilegio amoroso, è normale che con il passare di un po’ di tempo (e sto parlando di qualche mese, non di anni) l’intensità risulti gradualmente ridimensionata e raggiunga uno stato di equilibrio. Equilibrio auspicabile perché così, anche se in dolce compagnia, siamo in grado di pensare ad altro, di lavorare, di stare dietro alle varie occupazioni, insomma di vivere.

Amare, quindi, non è ossessione né tantomeno fusione. Amare è saper stare in equilibrio, provare piacere e desiderio di stare insieme alternato a piacere e desiderio di starsene per conto proprio; rispettare quest’ultimo sano e legittimo desiderio, il nostro e quello del partner.

Sapete qual è il nemico numero uno di questo equilibrio e di questo rispetto? Il telefonino, con i suoi maledetti social ed il suo stramaledetto WhatsApp. Maledetti non di per sé, per carità, ma per l’utilizzo che finiamo per farne. Un po’ tutti, ma soprattutto i ragazzi che hanno più tempo libero, blimblaniamo con il telefono in mano.

Scriviamo al fidanzato. Continuamente. Che fai? Cosa mangi? Manda foto. Sei uscito? Dove? Con chi? Senti sta roba, guarda qui, guarda là. Comunicazione fitta, insulsa, inutile, molesta, un vero killer del desiderio e del mistero. Ti sento strano. Che hai oggi? Sei freddo. Ma no, ma sì, ma dai. Nuotiamo in questo stagno di noia illudendoci di stare accanto all’altro mentre invece stiamo ammazzando di paranoie lui, noi stessi e tutto ciò che ci lega.

I rapporti, come le stanze, vanno lasciati liberi di respirare. Equilibrio e rispetto significano soprattutto questo: tollerare, anzi promuovere, l’assenza e la libertà dell’altro. Lasciarlo, letteralmente, vivere.

Se amate qualcuno scrivetegli di meno, cancellate il profilo di coppia su Facebook (per piacere, avete due cervelli e due personalità distinte oppure no?) e non spiatene le mosse sui social. Sarete più sereni, romperete di meno le scatole e, forse, vivrete per sempre felici e indipendenti.

redazione

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